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UN SECONDO PREMIO NOBEL PER DARIO FO: IN TURCHIA CENSURATE ANCHE LE OPERE DELLA COMPAGNIA TEATRALE FO RAME

Nel video: Dario Fo commenta la notizia della censura nei teatri turchi. 

 

Recep Tayyip Erdogan a teatro vuole che vengano rappresentati solo testi di autori turchi “umanisti nazionalisti”.

E così in Turchia vengono sospese tutte le rappresentazioni teatrali che portano in scena testi di William Shakespeare, Anton Chekhov, Bertolt Brecht e Dario Fo. Spariti dalla stagione 2016-2017 e sostituiti da autori rigorosamente turchi e con testi in linea con il pensiero di Erdogan, perchè non basta essere compatrioti del presidente turco per vedere i propri spettacoli teatrali inseriti in cartellone. Anche tutte le opere turche «non in linea con il nuovo spirito» sono state eliminate dai teatri del paese.

«Siamo umanisti nazionalisti. Apriremo la stagione in tutti i teatri solo con testi locali per contribuire all’unità e all’integrità della patria e rafforzare i sentimenti nazionali e religiosi», è il proclama di Nejat Birecik, vicepresidente dell’associazione dei teatri di Stato. Lo slogan scelto è “Il sipario della Turchia si apre con il Teatro turco”, e sono otto le opere «rigorosamente turche» che «saranno portate in 65 teatri in tutto il Paese».

 

  Maggiori informazioni:

 www.lastampa.it

 www.ilfattoquotidiano.it 

 www.tempi.it 

 

 


Dario Fo per Gianroberto Casaleggio - 12 aprile 2016

Quando si parla di Gianroberto i giornalisti tendono a classificarlo quasi subito come l’ideologo, il guru, del Movimento 5 Stelle. È la definizione più banale e ovvia che si possa pensare.

Bisogna partire da un fatto importante, la sua cultura. Era un uomo di una conoscenza straordinaria, leggeva tutto quello che riteneva fosse importante sapere, faceva collegamenti molto acuti fra i vari testi e aveva un modo di esprimersi riguardo alle diverse situazioni mai banale e prevedibile.

Mi capitava spesso di chiedere se avesse letto dei particolari libri che ritenevo importanti, e non azzeccavo mai un documento che lui non conoscesse già, tanto che un giorno gli ho detto: “Ascolta, fai più presto a dirmi quello che non conosci, così non mi metti più in imbarazzo”.

Spesso diceva che era impreparato a dare un giudizio su certi argomenti, e questo denota una modestia, un’umiltà che è difficile trovare nell’ambiente della politica comune.

Un altro tratto del suo carattere che posso testimoniare è la generosità nel modo di comportarsi, specie di fronte ad alcuni momenti tragici della vita del nostro paese. Inoltre evitava le dichiarazioni roboanti e preferiva analizzare prima di definire.

Quando gli chiedevo notizie sulla sua salute cercava di non dare molto peso al problema, diceva: “Sì, non va tanto bene ma speriamo di migliorare”.

A me, personalmente, manca molto. È un baratro nella mia memoria. La sua scomparsa è una perdita gigantesca per il Movimento, e non so immaginare quali conseguenze possano verificarsi, ma sono certo che le persone straordinarie che ne fanno parte, specie i giovani dell’ultima generazione, saranno in grado di proseguire sulla giusta via.

 

Dario Fo


AUGURI DARIO!

 

Dario Fo compie 90 anni: “Sono anziano non vecchio. I vecchi ridono poco, sono nostalgici e di destra. E io a destra mai!”

Articolo di Silvia Truzzi pubblicato sul Fatto Quotidiano: 

Il premio Nobel per la letteratura si racconta: dall'incontro con la moglie Franca Rame alla nascita del figlio, dalla pittura al teatro. "Il giorno più bello della mia vita? Quando è finita la guerra: ricordo come se fosse ieri la festa dei paesi mentre si allontanava l'incubo della morte, delle bombe, di quella distruzione orrenda".

Lo cercano tutti per via delle novanta candeline. E giustamente lui obietta: ma io non ho fatto nulla di rilevante, compio soltanto gli anni.

Il numero però è importante. Come lo è il padrone di casa, che ci riceve in un’assolata mattina milanese mentre la primavera albeggia al di là delle finestre. Siamo venuti tante volte in questo appartamento a parlare con Dario Fo dei suoi libri, dei suoi spettacoli, della politica. L’ultima, l’anno scorso, ci aveva lasciato con una frase indimenticabile: “Creare meraviglia vuol dire suscitare l’incanto in chi ti guarda. E attraverso il coinvolgimento passano al pubblico molte cose, per questo fare teatro è il mestiere più straordinario del mondo”.

Di lui sappiamo quasi tutto, perché non ha mai smesso di lavorare, scrivere, recitare e nemmeno di far sentire la sua voce nel dibattito pubblico. Allora, in occasione di questo compleanno così rotondo e dunque così simbolico, abbiamo cercato di capire da dove arriva quel suo estro vulcanico che tanto ha dato all’Italia.

Tutto comincia a Luino, il 24 marzo del 1926 quando mamma Pina dà alla luce Dario. Suo marito Felice, di nome e di fatto, è un capostazione con la passione per il teatro.

Il più antico ricordo è “un fatto di sangue”, sullo sfondo c’è un binario: “Avevo circa tre anni. Vidi un ragazzo che attraversava in bicicletta la ferrovia. Cadde e si ferì profondamente una mano, in verticale. Gli andai vicino, la mano era tutta rossa di sangue. Era la prima volta che lo vedevo e ho scoperto che l’uomo è pieno di sangue. Poi è arrivato un signore che l’ha soccorso e gli ha stretto una sciarpa attorno alla ferita. E gli ha detto: ‘Andiamo in ospedale perché dovrai mettere dei punti’. Un’altra cosa che mi colpì moltissimo: non sapevo che le persone si potevano rammendare come faceva la mamma con i pantaloni sdruciti”. Un fatto traumatico. E non è il solo. L’altro ricordo è di una notte in cui mi sono svegliato in casa e non c’era nessuno. Ho cominciato a strillare ed è arrivata una vicina. Mi ha consolato, con una perfetta recita a soggetto in cui ha inventato una scusa su due piedi e mi ha fatto riaddormentare. Ma appena i miei sono tornati mi sono svegliato: volevo sapere perché erano andati via senza dirmi nulla. Questi sono i due primi ricordi della mia vita.

La sua scelta di arruolarsi giovanissimo nell’esercito della Rsi ha suscitato un mare di polemiche negli anni Settanta.

Ho scritto tutto in un libro: mi sono arruolato nell’esercito italiano, in quanto italiano e non in quanto fascista, per un brevissimo periodo. Mi sono arruolato per non essere deportato in Germania e alla fine sono andato nei parà perché per i paracadutisti c’era un periodo di addestramento obbligatorio e sapevo che la guerra era agli sgoccioli: in Germania non ci volevo andare, nessuno tornava. Alla fine sono scappato, perché avevano fucilato venti civili senza ragione. Non m’importava nulla che mi uccidessero: il mondo attorno a me ormai era solo brutalità, violenza, sopraffazione. Non m’interessava più nulla di come andava a finire. Sono andato a rifugiarmi in montagna durante le ultime settimane prima della Liberazione. Ma la gente del mio paese, quando sono tornato, non mi ha chiamato fascista. Ho soltanto cercato di salvarmi: ero un ragazzo.

La sua prima vocazione artistica è stata la pittura.

Ho studiato all’Accademia di Brera, per otto anni. In quegli anni imparo a incidere, a dipingere, a scolpire. Però a un certo punto capisco che non siamo più nel periodo d’oro della pittura, con la guerra qualcosa si è rotto. Tanto è vero che anche i pittori già affermati cominciano a faticare. A un certo punto un importante mercante d’arte mi propone di entrare nella sua bottega. Cioè lui mi passava uno stipendio, ma in cambio voleva la gran parte della mia produzione. Mi lasciava una decina di quadri: all’epoca io producevo tantissimo, una tela al giorno. Lui si prendeva tutto, salvo che io fossi diventato molto famoso, allora avrei percepito delle percentuali sulle vendite. Capii che era una truffa e allora dissi basta, questo non è il mio mestiere.

E quindi?

Mi sono iscritto ad Architettura. Contemporaneamente lavoravo per aiutare mio padre a pagare le tasse e i libri: facevo il ragazzo di bottega in uno studio di architettura. Mi mandavano a fare dei rilievi, su cui producevo dei bozzetti. A un certo punto scopro che il terreno di cui mi occupo è vincolato, a uso agricolo. Allora vado dal titolare dello studio e gli dico: ma perché lavoriamo ai progetti su quel terreno che è vincolato? È inutile. E lui mi risponde: ‘Non preoccuparti, le vie del sorprendente in architettura sono infinite’. Un mese dopo, il Comune aveva cambiato la destinazione d’uso di quel terreno, da agricolo a edificabile. Per me fu una delusione grandissima. Disperatamente diedi le dimissioni. Non avevo un soldo, letteralmente, ed ero depresso. Continuavo a dimagrire perché appena mangiavo qualcosa, rimettevo. Un mio amico mi disse: ‘Ma io ti ho sentito recitare e tutti ti applaudivano. Sei bravissimo a recitare, è quello il tuo mestiere!’.

Allora andò a bussare alla porta di Franco Parenti.

Esatto: andai lì con alcuni monologhi che avevo pronti e mi presero subito. Alle prove c’era Franca. Io la conoscevo già, attraverso una fotografia che avevo visto nel salotto di casa di sua madre a Varese, perché per caso avevo conosciuto il fratello.

Ed è stato subito amore?

Dio… era meravigliosa: bellissima, affascinante, spiritosa. Bravissima sul lavoro.

E corteggiatissima.

Lei mi piaceva moltissimo, ovviamente. A chi non piaceva Franca? Ma non era alla mia portata. Tutte le volte che la guardavo mi dicevo: ‘Non perdere tempo, non perdere la testa, non fare casini. Con tutti i pretendenti potenti e ricchi che ha…’. M’imponevo di non incrociare mai il suo sguardo, di non darle retta se mi rivolgeva la parola. Arrivavano fiori, regali, venivano a prenderla con l’automobile. Figurati un po’, io ero uno spiantato. Una sera però ci ritrovammo da soli. Io stavo uscendo dal teatro e lei mi disse: ‘Ma dove vai, Dario?’. Io, secco: ‘A casa’. E lei: ‘Non mangi?’. Le raccontai una bugia: ‘Ho già mangiato prima’. Ma lei aveva capito: ‘Stai dicendo una balla’. Non avevo una lira in tasca. Allora m’invitò lei: ‘Pago io. Ma ho soldi abbastanza per pane, salame e una birra. Ti va?’. Tutti i miei buoni propositi andarono a farsi benedire… Abbiamo attraversato Milano in lungo e in largo, quella notte. Io la accompagnavo a casa, poi lei insisteva per accompagnare me e io di nuovo lei. Abbiamo parlato per molte ore, una serata gioiosa e divertente.

E quindi l’ha baciata?

Ma no! Anzi, non volevo mai uscire con lei. Inventavo delle balle, dicevo sempre che ero occupato, che non potevo. Una volta le ho detto addirittura che avevo un esame al Politecnico e che dovevo studiare e non era vero perché avevo già lasciato. Quella sera stessa, eravamo nelle quinte del palco, lei mi ha dato uno spintone. Sono finito con le spalle al muro e mi ha baciato. Questa è la storia.

Siete stati insieme tutta la vita. Ma Franca a un certo punto l’ha lasciata. 

Veramente mi ha lasciato un mucchio di volte. Quando è diventata soubrettona, in gergo si dice così, per una compagnia molto importante, la sorella le diceva: ‘Lascia perdere gli attori, sono dei perdigiorno. Che vita ti può dare Dario?’. Poi abbiamo fatto la pace, una volta che lei venne a vederci recitare. E tornò con noi per recitare ne Il dito nell’occhio. Poi ci siamo sposati in Sant’Ambrogio con il vescovo che aveva tenuto lì l’arredo di un altro matrimonio. Poi ci siamo lasciati almeno un paio di volte. Sempre lei. E aveva ragione, io ero sballato. Avevamo un successo incredibile, io ero circondato da ragazze bellissime che mi si offrivano… Allora lei disse basta.

Tra queste distrazioni, non c’è mai stata nessuna che fosse importante?

Se fossi ipocrita, le direi che erano tutte storie senza importanza, occasionali. Avventure di nessun conto. Invece no: qualcuna tra queste ragazze si innamorava di me e io anche ero coinvolto. Ma Franca è sempre stata il centro del mio universo. Quando lei se ne andava e mi chiamava l’avvocato dicendomi ‘sua moglie si vuole dividere’, allora era un dramma.

Franca l’ha mai tradita?

Credo l’abbia fatto per ripicca. Io ci soffrivo ma mi sentivo troppo colpevole, capivo che lei aveva tutte le ragioni. Però questi sono stati incidenti, inciampi. Non sono stati mai la chiave della nostra relazione. Ho avuto per Franca un amore assoluto, sconfinato, traboccante. Ricordo quando ebbe un incidente stradale, doveva dormire su una superficie rigida e si sdraiava sul pavimento perché sul letto non riusciva a stare. E io andavo a sistemarmi vicino a lei per terra.

Le donne hanno con Franca Rame un debito di gratitudine per aver avuto il coraggio di raccontare la violenza subita nel ’73. Cos’ha provato lei quando sua moglie è stata presa?

Non ci sono le parole per dire la rabbia, il dolore, il senso d’impotenza. La cosa più terribile è stata quando sono venuti fuori i particolari, il coinvolgimento dello Stato e dei carabinieri, il brindisi alla notizia dello stupro. Il processo andato prescritto… (una lacrima minuscola scivola sulle guancia dietro gli occhiali da sole, ndr)

Come ha fatto sua moglie a superarla?

Un professore nostro amico le disse: ‘Franca, denunciare non basta. La terapia devi fartela da sola, devi salvarti tu. Non basta che ne parli con i tuoi familiari o con qualche amico. Devi liberarti, devi raccontare. Fallo in teatro, è il tuo mestiere’. Lei, scuotendo la testa, rispose: ‘No, questo non posso farlo’. Un sera, mentre recitavamo uno spettacolo, lei aveva la scena dopo la mia, un monologo. Io ero dietro le quinte e improvvisamente capisco che non è il pezzo previsto, ma che Franca sta raccontando il suo dramma. La gente era sconvolta. Un coraggio da leonessa. E che esempio è stato per le donne! Quelli erano ancora tempi in cui le ragazze non potevano denunciare le violenze.

Cosa le ha insegnato diventare padre?

Ho capito tardi l’importanza del mio ruolo di genitore, di quello che dovevo fare per mio figlio Jacopo. Lavoravo tanto, ero spesso fuori in tournée. Mi sono perso la sua infanzia: è mancata anche a me. Poi ci siamo avvicinati molto e sia io che Franca abbiamo capito che dovevamo vivere insieme la nostra condizione di genitori ed essere in pieno una famiglia. Oggi sono nonno e bisnonno, felice. Passo molto tempo con la mia famiglia: ora per questo compleanno arrivano tutti, mi manderanno a dormire in solaio!

Parliamo di amici.

Sono sempre stato un ladro: di conoscenze, di sapere, di esperienza. Ho guardato i miei amici lavorare, li ho ascoltati e ho rubato, da tutti un po’. Quando ero ragazzino andavo in campagna a dipingere con i pittori adulti: li osservavo attentamente, copiavo. E pure all’Accademia. Io raccontavo storie, favole. Mi esibivo. Come giullare ero già famoso. E poi io chiedevo a mia volta di farmi vedere come si facevano le cose: ho sempre imparato rubando. Gaber, Jannacci mi chiamavano maestro: sono stati i primi. Ho insegnato loro alcune cose… Cadenzare senza esagerare, stare in scena naturalmente. Gli consigliavo di parlare con il pubblico, di creare un rapporto con chi li ascoltava.

Qualche rimpianto?

Chissà perché me lo domandano tutti… Ho avuto una fortuna esagerata nella mia vita. Tutto quello che andava male, le crisi, i momenti distruttivi si sono sempre capovolti. Mi sono trovato spostato dal vento verso orizzonti diversi, cambiamenti, novità. Nessun rimpianto, davvero.

Perché non ha mai voluto guidare l’auto?

Non m’interessava. Guidare è un’attività esclusiva, per cui non puoi mai distrarti. Ho provato una volta e ho capito che non ero adatto. Ma lo sospettavo: perfino in bicicletta cadevo perché pensavo a tutto fuorché alla strada. Poi c’era Franca, lei era così brava a guidare…

I libri più importanti della sua vita?

Tantissimi. Le dico Memorie di un ottuagenario di Ippolito Nievo, che ho letto da ragazzo e amato moltissimo. Fino a un certo punto sono stato un vorace lettore di romanzi. Adoravo Dos Passos e Hemingway. Poi a un certo punto avevo delle curiosità che volevo togliermi, sulla Storia per esempio. Ho cominciato a leggere saggi e pubblicazioni scientifiche.

Il giorno in cui le hanno assegnato il premio Nobel è stato il più bello della sua vita?

No! Il giorno più bello è stato quando è finita la guerra: ricordo come se fosse ieri la festa dei paesi, mentre si allontanava l’incubo della morte, delle bombe, di quella distruzione orrenda. Quando ho vinto il Nobel con Franca ci siamo detti: ‘Adesso non montiamoci la testa’. E abbiamo ricominciato a lavorare.

Cos’è la vecchiaia?

Perché lo chiede a me? Io non mi sono accorto di nulla. Ogni tanto qualcuno mi diceva: ‘Guarda che tra un po’ compi novant’anni’, e io non ci davo peso. La vecchiaia ti viene addosso, all’improvviso. Io però mi sento anziano, non vecchio. E le spiego perché: i vecchi sono conservatori, sono nostalgici. Non fanno che ripetere ‘ai miei tempi’, hanno una mentalità chiusa, a volte ottusa. Non accettano le cose nuove, ridono poco. Sono ostili alla diversità. Io non mi trovo bene con quelli della mia età: peraltro i vecchi di solito votano a destra. E io a destra mai!

 

 

Articolo di Anna Bandettini pubblicato su Repubblica.it:

Ha cantato a squarciagola, ha recitato "La fame dello zanni" nel suo meraviglioso grammelot e poi la storia di "Pulecenella" l'innamorato sbruffone. Così, il vero regalo lo ha fatto lui, Dario Fo, recitando, infaticabile generoso e appassionato come sempre. E' stato il momento più bello ieri sera alla festa per il suo novantesimo compleanno al Piccolo Teatro Studio tutto esaurito con spettatori che via via arrivavano seduti per terra, suoi fan, milanesi forse anche come segno di gratitudine verso un artista che in oltre sessant'anni di palcoscenico ha interpretato impegno, passioni, utopie, delusioni, slanci collettivi.  

Belle le testimonianze dei famigliari che si sono succeduti sul palco: il figlio Jacopo che ha raccontato cosa ha voluto vivere con due genitori "diversi" come Dario e Franca, la nuora Eleonora che ha restituito l'ironia di due "suoceri" così e poi i nipoti, Iaele la più giovane ("Quando alla patente l'esaminatore mi ha chiesto "Si chiama Fo. Parente?", io dicendo sì ho subito pensato "speriamo sia un comunista!") e i due piccoli bisnipoti.

Stefano Benni, in segno di omaggio al maestro ha voluto ricordare Franca Rame con la poesia che le aveva dedicato per i suoi 70 anni, Carlo Petrini, che ha portato un assaggio della gastronomia Slow Food, e ha ripercorso gli anni dell'impegno politico e della militanza, e Enrico Intra che ha accompagnato il festeggiato al piano in un originale blues tra gli applausi della platea dove c'erano altri amici a cominciare da Claudio Bisio: "Buon compleanno, maestro", lo ha salutato, Mario Pirovano l'allievo forse più devoto.

Finale con torta e candeline regolarmente spente e l'irrinunciabile Banda degli ottoni che accompagnò anche la festa del Nobel nel 1997.

Ma a proposito di regali, quello forse più bello per Dario Fo è stata l'inaugurazione, mercoledì, della sede dell'archivio "Dario Fo e Franca Rame" a Verona, nello stesso edificio dell'archivio di Stato.

Museo, laboratorio, sala per mostre e presentazioni: così Dario Fo vuole che sia questo immenso luogo della memoria dove ha finalmente trovato cura e custodia il milione e più di documenti che testimoniano la storia settantennale del teatro di Dario Fo e Franca Rame: copioni, manoscritti, stesure diverse dei testi, disegni, bozzetti, dipinti, manifesti, copie di contratti, libri, articoli, costumi, pupazzi, marionette, scenografie, locandine e fotografie di scena.

Un patrimonio immenso, e va dato atto al ministro Franceschini di averlo capito e valorizzato. Per Dario Fo l'archivio dovrà essere un luogo sì, per studiosi,ma soprattutto per giovani dove trovare slancio e occasioni per guardare avanti. L'archivio corona un sogno di Franca Rame che già nell '95, con sguardo lungimirante, raccolse e fece digitalizzare tutti i materiali, rendendoli disponibili online per tutti.

"Vederlo ora custodito e valorizzato in questa sede di Verona è un miracolo- ha detto Fo- Un altro miracolo di Franca".

 

Per vedere il servizio di LaPresse sulla festa al Teatro Piccolo Studio Melato a Milano il 24 Marzo 2016 in occasione dei 90 anni di Dario Fo clicca qui. 


MILANO DEDICA UN PARCO A FRANCA RAME

La Giunta comunale ha deciso di intitolare un giardino a Franca Rame. A lei sarà dedicato lo spazio verde tra le vie Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Roberto Tremelloni.

La cerimonia di intitolazione si terrà mercoledì 16 marzo alle ore 11.30 all'ingresso del parco da via Vittorio Gassman.

 

Sulla targa ci sarà l’epigrafe:

Attrice e sostenitrice dei diritti civili e sociali”.

“Franca Rame con Dario Fo, compagno nella vita e sulla scena, ha scritto e messo in scena decine di spettacoli di grande successo che hanno appassionato e fatto riflettere diverse generazioni. Una grande attrice –afferma il sindaco Giuliano Pisapia - che non ha mai rinunciato al suo impegno sociale e civile. Con questa decisione Milano celebra un’artista che ha caratterizzato la vita culturale della città per decenni”

Il parco Franca Rame è un parco comunale di 51 mila mq grande quanto sette campi di calcio con 500 alberi. È la nuova area verde del quartiere Adriano, nell'area dove una volta sorgeva l'azienda Magneti Marelli, ai confini con Sesto San Giovanni.

Il parco Franca Rame è stato progettato "con spazi d'incontro e percorsi accessibili a tutte le età". Il cuore è un prato di quasi 39mila metri quadrati, circondato da alberi. Ai lati, le attrezzature per i giochi dei bambini e per la sosta, spiazzi e sedute, campi per le bocce, un'area con pergolato per il ristoro, area cani, giardini e architetture vegetali.
 

Clicca qui per visitare il sito web del Parco Franca Rame.

 

Alcune foto dalla pagina facebook "Parco Franca Rame"


Dario Fo su Erri De Luca: «Giusto opporsi alla Tav, solidale con la parola contraria»

«Vedo un accerchiamento della libertà d'espressione, le persone che hanno coraggio vengono emarginate».

Dario Fo aveva lanciato questo allarme venti giorni fa commentando la vicenda giudiziaria che vedeva coinvolto Erri De Luca. La sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, pronunciata dal Tribunale di Torino, rasserena l'ottantanovenne Premio Nobel. Per il momento.

Come commenta questa decisione?

«È una bella notizia. Mi auguro che non sia rovinata da eventuali ricorsi. Vedremo. In tutta questa vicenda mi ha deluso terribilmente un magistrato altrimenti di grande valore come Giancarlo Caselli, oggi in pensione. Bastava che si documentasse sui danni arrecati dalla Tav all'ambiente e probabilmente non avrebbe assunto posizioni così severe verso chi la contesta».

Ed Erri De Luca?

«Questa mattina un amico mi ha telefonato dicendomi: va a sentire in tribunale la difesa fatta direttamente da Erri. Sono riuscito ad arrivare proprio mentre lui iniziava a parlare e mi ha sconvolto la lucidità e l'intelligenza con cui si è difeso. Gli ho fatto arrivare tre righe in cui mi complimentavo dichiarandomi completamente d'accordo e solidale. Poco dopo è arrivata la sentenza».

Insomma, c'è un giudice a Torino.

«Molte volte la magistratura sa essere onesta. Il guaio è quando finisce in mano a gruppi che la pensano a modo loro nell'applicare la legge contro l'evidenza dei fatti. Diffido poi della Cassazione. Cassare significa annullare, cancellare. E spesso abbiamo assistito all'annullamento di sentenze su fatti assolutamente chiari o a provvedimenti sconcertanti. Penso, ad esempio, alla vicenda del lavoratore rumeno Ion Cazacu, che fu bruciato vivo dal suo datore di lavoro. Me l'ha fatto notare un avvocato inglese: voi, mi ha detto, avete una giustizia eccellente salvo quando si arriva al terzo grado».

Sulla Tav resta dell'opinione che sia un'opera inutile e nociva?

«Certamente. Lavori come quelli previsti in Val di Susa sono già avvenuti in Italia. Per ridurre in maniera minima i tempi di percorrenza ferroviaria sono stati devastati dei territori, inquinati dei fiumi, avvelenati dei terreni. In quei luoghi, la natura è stata distrutta. C'è uno studio importantissimo dell'ex direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, Salvatore Settis, che è molto chiaro in proposito. Anche per la Tav si prospetta uno stravolgimento della Val di Susa. Perciò è necessario opporsi alla sua realizzazione».

 

Fonte: http://cronachemartinesi.it/mondo/italia/1444-2015-10-19-21-30-14

 


Nobel per la pace a Malala e Satyarthi

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Premio Nobel per la pace a Malala Yousafzai, solo 17enne e all'indiano Kailash Satyarthi, 60 anni e una vita spesa ad aiutare i bambini indiani in difficoltà. Entrambi sono stati insigniti del Nobel "per il loro comune impegno" a favore dei diritti dei bambini e "contro l'estremismo". E' quanto si legge nel comunicato del comitato norvegese che assegna il prestigioso riconoscimento.

 

Articolo che Dario Fo e Franca Rame scrissero nel 2012 per candidare Malala a Nobel per la Pace:


LA STORIA DI QU: Dario Fo presenta lo studio fatto dagli studenti della Scuola di Teatro Paolo Grassi a Milano

E’ chiaro che noi di questa banda di teatranti, sul successo di tutta l’operazione, scommettiamo tutto e, in particolare, scommettiamo che non finisce così con due repliche e via qui al Piccolo... ma che faremo l’impossibile, se ci date una mano, perché si vada avanti riprendendo non fra sei mesi come previsto, ma subito, immediatamente. Come diceva un antico saggio: in teatro chi perde il tram poi va a piedi o peggio in ginocchio. Soprattutto dobbiamo piantarla di dirci preoccupati per i giovani senza futuro, facciamolo adesso questo futuro per i giovani, non dopo, quando è diventato ormai il passato! Dario Fo

 

[una voce fuori campo annuncia: Signore e signori, Dario Fo!]

Eccomi! Indovinate chi sono! Mi hanno presentato prima che apparissi... per questo mi avete riconosciuto! Infatti questa gabbietta è fatta apposta per cancellare la faccia di chi la calza.

Questo che vedete è un aggeggio mortificante che in Cina nei tempi antichi si imponeva ai condannati al silenzio, in modo che non potessero più esprimere le proprie idee o confutare quelle del potere. Si chiamava anche gabbietta da morto, in quanto era il segno che chi la calzava avesse poco tempo da vivere ancora: era un condannato al supplizio definitivo, cioè al taglio della testa, ZAC!

Qualcuno di voi si chiederà: ma come mai si tira in ballo in ogni momento la Cina oggi? Ne parlano giornali di Confindustria, riviste di divulgazione culturale... e perfino quotidiani vescovili.

“Ma che sta succedendo?”

“Sta succedendo che entro pochi anni questa enorme nazione classificata fino a poco tempo fa come paese del terzo mondo diventerà la più grande potenza della terra. Tanto per cominciare, è notizia dell’altroieri, la più imponente quotazione in borsa di tutti i tempi non l’ha realizzata un’azienda di New York o della Silicon Valley come al solito, ma una compagnia di Hanghzou, nella provincia dello Zhejiang.

La Cina è oggi fra le più grandi potenze economiche del mondo e si permette di prestare miliardi a tutti il paesi del G8, compresa l’America.

Insomma il mantenimento degli equilibri mondiali in ambito commerciale, industriale e monetario dipende dalla Repubblica Popolare Cinese.

Come mai un simile sconvolgimento?

Beh, ve ne parleremo fra poco.

Ora, senza nostalgie per il tempo passato, voglio ricordarvi di quando io e Franca siamo stati per la prima volta in Cina. Si era a metà degli anni Settanta e Mao Tse Tung era ancora vivo. Io e Franca eravamo affascinati da tutto quello che vedevamo. La Cina ci è apparsa come un enorme popolo di ciclisti, milioni di ciclisti... fin dall’alba tutti andavano in bicicletta: quello era l’unico mezzo di locomozione che quel popolo possedesse.

Ti svegliavi alla mattina, andavi per strada e ti trovavi assalito da fiumi di uomini e donne che pedalavano e suonavano campanelli per non tirarti sotto, DIN DIN DIN!, milioni di campanelli trillanti.

Quando io e Franca andavamo intorno per un piccolo centro la gente del luogo si fermava attonita a guardarla, a guardare Franca naturalmente! Non avevano mai visto una donna al mondo abbigliata con tanta eccentricità: Franca vestiva abiti leggeri dai colori vistosi. Era bionda, anzi biondissima.

E i cinesi chiedevano stupiti ai nostri accompagnatori: “Ma chi è quella signora così sgargiante? Senz’altro dev’essere di una minoranza etnica, vero?” Anch’io e la mia minoranza etnica eravamo colpiti dallo stupore per tutto quello che incontravamo: città galleggianti sull’acqua, piccole venezie costruite nelle lagune, la grande muraglia che attraversava tutto un continente, migliaia di guerrieri in terracotta a grandezza naturale che facevano la guardia alla salma dell’imperatore defunto dieci secoli prima, spettacoli di acrobati che sembravano volare davvero nell’aria, flotte di navi con vele di canna intrecciata che viaggiavano su laghi d’acqua nera.

Ma la cosa che ci coinvolse maggiormente fu la scoperta di Lu Xun, lo scrittore poeta amato da Mao Tse Tung che di fatto inventò una scrittura che permettesse a una massa enorme di gente analfabeta, milioni, di scrivere e leggere. Questa scrittura si chiamava semplificata, cioè l’alfabeto non era più quello ridondante e inaccessibile delle classi dominanti ma un sistema di segni che anche un bambino poteva apprendere. E, soprattutto, il linguaggio non era quello di una grande città come Pechino ma il dialetto di una regione molto vasta popolata da gente povera e umile, lo Zhejiang (a Sud di Shanghai e che costeggia l’oceano Pacifico) che è proprio lo stesso distretto dove è sorta la città di Hanghzou quella che, come vi abbiamo detto, oggi ospita l’organizzazione con le azioni più quotate nel mondo.

Si trattava di un immenso territorio ricco di tradizioni popolari.

In questa lingua, Lu Xun ha scritto una grande quantità di racconti, anch’essi tratti dalla tradizione popolare e, fra questi, m’é capitato il colpo veramente di fortuna di potermi leggere in italiano la storia di Qu o Qiu che sta andando in scena qui a Milano al Piccolo Teatro. Naturalmente tratta di personaggi epici della Cina, del tempo in cui nascono i primi movimenti rivoluzionari, nei primi venti anni del Novecento. Storie quasi assurde e cariche di fantasticherie che però stranamente nessuno ha mai pensato di sceneggiare per poi trarne una commedia comica e tragica insieme, come sarebbe stato auspicabile. Ho chiesto intorno a vari intellettuali cinesi che ho incontrato in quel lungo viaggio se ci fosse qualcuno che in quel momento lo stesse facendo. No, gli intellettuali della Cina erano tutti presi da altri problemi: una immediata modernizzazione che Mao Tse Tung non condivideva per niente.

Ed è proprio in quei mesi, nell’ultimo anno della sua vita, che il fautore della rivoluzione cinese pubblicamente dichiarò: “Questa Cina che i dirigenti del mio partito stanno gestendo in modo tanto spregiudicato, fra non più di cinquant’anni sarà una nazione completamente capitalista.”

Roba da far salti mortali all’incontrario, tanto da superare gli acrobati del circo di Pechino.

Ma nessuno ci fece quasi caso, anzi i burocrati al potere esclamavano: “Sono sprazzi visionari di un vecchio giunto ormai al finale di partita”.

Ma il vecchio ahimè aveva colto nel segno. La profezia si è avverata con una rapidità sconvolgente. Oggi, quasi quarant’anni dopo, le biciclette in Cina non ci sono più, roba da museo. Per le strade ci sono macchine in tal quantità che par di essere a New York. La Cina sta inquinando il proprio cielo tanto da raggiungere l’atmosfera delle nazioni più evolute del mondo.

A Shanghai e a Canton ci sono grattacieli da far invidia e crear stupore all’intero mondo occidentale. Come già accennato ci sono banche che sorpassano quelle americane nel giro d’affari. E ci sono gli oligarchi, ricchi in gran quantità. Ma ci sono anche i poveri. Quasi un miliardo di poveri. E all’istante in certe zone un’enorme popolazione di contadini non ha più né terra né casa e tantomeno il minimo per la sopravvivenza.

Devono emigrare, cercare lavoro in città. Ma non sempre vengono accolti fraternamente. Qualche volta vengono scacciati. Le galere sono stracolme, resiste imperterrita anche la pena di morte e il partito comunista è al potere con i propri dirigenti intoccabili. Il paradosso dei paradossi è che ci troviamo con uno stato capitalista ben protetto da un governo assolutamente comunista ALEEEE!

La Cina oggi è la nazione che produce il maggior numero di computer e telefoni cellulari che invadono l’intero mercato mondiale.

I mercanti di abbigliamento e accessori italiani vanno in Cina ad acquistare manufatti falsi replicati dai produttori cinesi e li vengono a rovesciare sul mercato italiano ed europeo naturalmente con l’etichetta Made in Italy ben evidenza.

Tutto ciò ci ha indotto a parlare oggi dei cinesi ma impostando tutta la nostra commedia sullo scritto di Lu Xun. Una storia ambientata al tempo dei primi moti rivoluzionari della Cina come vi dicevo.

Ma abbiamo scoperto, leggendo molte biografie sulla storia di questo grande poeta, che da ragazzo subì un trauma di una violenza inaudita: suo nonno con il quale viveva e apprendeva le leggende del suo paese, venne arrestato, processato e condannato a morte proprio come il protagonista della sua storia.

E a quell’uomo egualmente fu mozzato il capo. Quindi la storia di Qu è una storia autobiografica dove situazioni dramma e politica si possono ben proiettare al nostro tempo.

La messa in scena di questa pièce è opera appassionata e faticosa di Massimo Navone – regista e direttore della Scuola di Teatro Paolo Grassi a Milano. Si tratta di uno sconvolgente visionario che ha avuto la grande fortuna di trovarsi come interpreti un gruppo di trenta fra attori, danzatori, acrobati, musici, scenografi, tutti giovani e provenienti dalle civiche scuole della Fondazione Milano: la scuola di teatro Paolo Grassi appunto, la scuola di scenografia dell’Accademia di Brera, la scuola di musica Abbado con i suoi corsi di jazz, l’Accademia dell’Arte di Arezzo, la scuola di circo 4xquattro e l’officina Zorba per la realizzazione delle maschere.

Così si è riusciti ad allestire un’opera veramente fuori da ogni regola con un protagonista particolare - Michele Bottini - che sembra appena sfornato dalla Commedia dell’Arte.

E’ chiaro che noi di questa banda di teatranti, sul successo di tutta l’operazione, scommettiamo tutto e, in particolare, scommettiamo che non finisce così con due repliche e via qui al Piccolo... ma che faremo l’impossibile, se ci date una mano, perché si vada avanti riprendendo non fra sei mesi come previsto, ma subito, immediatamente. Come diceva un antico saggio: in teatro chi perde il tram poi va a piedi o peggio in ginocchio.

Soprattutto dobbiamo piantarla di dirci preoccupati per i giovani senza futuro, facciamolo adesso questo futuro per i giovani, non dopo, quando è diventato ormai il passato!

STOP così!

Ed ora andiamo senz’altro a incominciare.

 

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